La fine del mondo? Ognuno la vive come gli viene. Il prete pregherà , lo scienziato la studierà , il catastrofista ti dirà “te l’avevo detto”. E il giornalista della carta stampata? Temo sarà assalito da una sensazione di fregatura bruciante: quell’ineluttabile percezione di averla presa là dove non batte il sole.
Voglio dire: per lo meno i colleghi della tv e della radio qualche intervista riusciranno ancora a mandarla in onda prima di sparire nell’inversione dei poli. Il Tg1 inserirà un servizio subito dopo la grazia a Sallusti, il Tg5 tra l’ultimo scoop della D’Urso e la ricetta della settimana (polpette Maya, per l’occasione), Studio Aperto tra le tette della Minetti e la farfallina di Belen. Il Tg7 non la darà perché Mentana non la reputa una notizia (l’han già bruciata tutti). Magari TgCom proporrà pure l’opinione di Marte, il nostro vicino. Poche frasi registrate al citofono: “Sembrava un pianeta tranquillo. Non so cosa gli sia saltato in mente”. Se poi gli alieni ritardassero, è possibile che Vespa trovi il tempo di infilarci l’ultimo plastico. Invitati in studio per commentare l’evento: Renato Mannheimer con un sondaggio su come gli italiani preferirebbero andarsene da questa terra e Silvio Berlusconi che dichiarerebbe: “Ma quale fine del mondo? I ristoranti sono tutti pieni”.
I siti internet continuerebbero ad aggiornare in tempo reale su terremoti, tsunami, pianeti in rotta di collisione. E noi della carta? Ci sbatteremmo tutta la giornata, seguendo l’apocalisse passo per passo, scriveremmo bellissimi pezzi di colore (per lo più rosso sangue), prepareremmo infografiche dettagliatissime sugli ultimi, tragici, momenti e poi… puf.
No, ma… scherziamo?
Vogliamo parlare, poi, dell’imbarazzo nello scegliere i titoli per il giorno dopo? “Apocalypse Now” l’han già impiegato tutti. “The End” è inglese: non va bene. “Un, due, tre, stella” non lo capirebbe nessuno. “Finalmente”, fa idealista e comunque è troppo commentato. “Zero assoluto” è di nicchia. “Ciao” dà troppa confidenza ai lettori. “Addio”, fa drammatico. “Arrivederci” fa ridere.
C’é poi la possibilità della beffa suprema. E allora mettiamo che nel marasma delle ultime ore ti capiti di incontrare per strada Kabrakan, dio maya dei terremoti. Mettiamo che ti riesca di chiedergli un’intervista. Mettiamo che accetti. Potenzialmente avresti già nella mano destra il Pulitzer e in quella sinistra Nobel (per aver dimostrato scientificamente che un dio esiste). Concretamente invece, giusto quando stai per dare l’ok alla tipografia per la stampa, un meteorite stampa te, la tipografia e la rotativa su una lamina di granito quattrocento metri sotto il livello del mare.
E allora ti girano. Giusto un po’.
Ma ognuno la vive come gli viene.
Peggio di così può solo succedere che la fine del mondo arrivi alle 23.58 quando sei di turno di chiusura. Come io stasera.
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