Seconda puntata del “Cielo sopra la Val d’Ambra”? Dopo la Stella polare, Marte e l’Orsa maggiore si continua con Betelgeuse. (Pubblicato su “La Finestra” numero 23)
Vi è mai capitato di guardare una stella e avere un desiderio? No, non sto parlando di stelle cadenti (che in realtà stelle non sono: ne discuteremo in un’altra occasione), ma di veri e propri astri che se ne stanno immobili nel firmamento senza cadere da nessuna parte. Ebbene io un desiderio ce l’ho: vorrei essere vivo quando Betelgeuse morirà.
Perché, credetemi, sarà uno spettacolo galattico.

In fin di vita
Ma facciamo un po’ d’ordine, iniziamo dal principio e ritorniamo sulla nostra panchina all’imbocco della Val d’Ambra. Questa volta veniamoci un po’ più tardi del solito: diciamo attorno alle cinque/sei di mattina. In questo periodo dell’ anno (ottobre-dicembre) e a questi orari, è il momento ideale per fare conoscenza con Betelgeuse, la stella in fin di vita che domina la costellazione di Orione. Detto anche “il cacciatore”, Orione in questi mesi e a quest’ora della notte, starà sorgendo al di sopra delle montagne a sud-est. Lo potrete riconoscere dalla sua famosa cintura, ovvero dalle tre stelle allineate una vicino all’altra. La figura si completa formando una sorta di caffettiera, con la zona della vite di mezzo proprio all’altezza della cintura.
Se osservate bene, nell’angolo superiore sinistro della figura noterete una stella molto luminosa che si distingue chiaramente dalle altre per il suo colore: brilla di un rosso acceso, mentre le altre tendono piuttosto al bianco o all’azzurro. Vi presento Betelgeuse.
Seconda stella più luminosa di Orione e decima più luminosa del cielo notturno, Betelgeuse è una supergigante rossa che dista da noi circa 600 anni luce (qualcosa come 5,8 milioni di miliardi di chilometri); tanto per le dimensioni quotidiane, ma su scala galattica – la Via Lattea ha un diametro di circa 78’500 anni luce – stiamo parlando del giardino del vicino di casa. Betelgeuse è una delle stelle più grandi e (prese in assoluto) più luminose mai osservate: se potessimo metterla al posto del Sole i suoi confini esterni sfiorerebbero l’orbita di Giove, mentre la sua luminosità sarebbe pari a 134 mila volte quella a cui siamo abituati. È talmente grande che è stato possibile scattarne un’immagine dove non sembra solo un puntino, come invece appaiono molti altri astri. Il colore rosso, la superficie bitorzoluta e i getti di materia stellare che l’abbandonano sono sintomi inequivocabili di un’imminente morte. Ma non sarà una fine tranquilla, anzi …

Fuochi d’artificio
A differenza delle stelle con una massa fino a cinque o sei volte quella del nostro Sole, destinati a spegnersi relativamente tranquillamente, come una candela che ha finito la cera, i giganti del cosmo chiudono la propria esistenza con una massiccia esplosione, trasformandosi in pochi secondi da stella a “supernova”. Alcune di queste detonazioni sono in grado di sprigionare in pochi istanti più energia di quanta ne produrrà il Sole in 10 miliardi di anni.
Ebbene, quando Betelgeuse esploderà, vista dalla Terra diventerà ben più luminosa di Venere, sino a competere con la Luna piena. Il “nuovo astro” brillerà sopra le nostre teste per mesi, trasfigurando il cielo notturno a cui siamo abituati. È pure probabile che risulti visibile durante il giorno, analogamente a come si riesce a vedere la falce lunare attraverso l’azzurro del cielo. Uno spettacolo straordinario per tutti quelli che avranno la fortuna di poterlo ammirare.
Se ci sarà qualcuno ad ammirarlo, dal momento che potrebbe succedere domani, come fra migliaia o milioni di anni.
Una volta ogni cinquant’anni, ma…
L’esplosione di una supernova non è un evento estremamente raro. Si calcola che una dei 400 miliardi di astri presenti nella nostra galassia diventi una supernova in media una volta ogni 50 anni. Nell’immensità del cosmo ogni secondo una stella muore in un fuoco d’artificio: 31,6 milioni di esplosioni all’anno. Praticamente tutte sono però troppo distanti per essere anche solo percepite dalla Terra: alcune appaiono evidenti agli strumenti più potenti, molte meno risultano ai telescopi amatoriali e pochissime sono visibili a occhio nudo. E questo perché, per poter ammirare senza ingrandimenti la fine cataclismica di un astro è necessario che questo sia abbastanza vicino. L’ultimo avvistamento risale al 1604.
La prima supernova a essere documentata risale al 185 dopo Cristo: distante circa 9’100 anni luce, è menzionata in scritti provenienti dalla Cina, che la collocano in corrispondenza della costellazione del Centauro. Una seconda, distante circa 7’500 anni luce, fu osservata nel 1006 nel Lupo e una terza, la supernova più “chiacchierata” dell antichità, nel 1054 nel Toro. Le tre, pur distando migliaia di anni luce, hanno raggiunto luminosità ben superiori a quelle di Venere. La penultima a essere avvistata risale al 1572, comparve nella costellazione di Cassiopea e fu scoperta dall’astronomo e nobile danese Tyco Brahe. L’ultima, quella del 1604, esplose nella costellazione di Ofucio e fu l’oggetto delle attenzioni del noto astronomo e matematico tedesco Giovanni Keplero.
La luminosità di queste stelle è sparita da tempo, ma se si punta un telescopio nella direzione in cui si trovavano, oggi si possono ancora vedere le loro polveri che lentamente si disperdono nello spazio.
Polvere di stelle
Polvere e gas: è l’ultimo testamento di una supernova. E la sua eredità è feconda di nuove vite. Già perché è proprio da quelle nubi di materia sparate nel cosmo nell’ultimo istante di vita che possono nascere nuovi astri, nuovi pianeti, nuova vita. Compresi noi: siamo formati da polvere di stelle.
Gli atomi che ci compongono sono stati forgiati miliardi di anni fa nel cuore di una stella gigante, simile a molte altre che hanno caratterizzato l’infanzia del nostro universo. Senza di loro nulla di quello che conosciamo esisterebbe. Questo perché l’universo primordiale era composto quasi unicamente da idrogeno, raggruppato in enormi nubi di gas. Con il tempo gli atomi hanno iniziato ad avvicinarsi tra loro a causa della forza di gravità compattando pian piano le nubi in enorme palle gassose sempre più¹ calde. A un certo punto, quando la temperatura interna ha raggiunto i 10 milioni di gradi, si è innescato un processo fisico chiamato fusione nucleare: nel cuore della nube, sotto una pressione, gli atomi di idrogeno iniziano a unirsi a coppie, formando un atomo di elio, il secondo elemento più semplice della tavola periodica. Una trasformazione che genera un’enorme quantità di energia, calore e luce. È nata la prima stella.
La forza della reazione nucleare tende a fare espandere l’astro, che cessa così il suo collasso su sé stesso e trova momentaneamente una propria stabilità. Quando però il carburante (l’idrogeno) sta per finire, la spinta verso l’esterno diventa sempre meno forte e il nucleo inizia di nuovo a collassare su sé stesso sotto il suo stesso peso. Gli strati esterni dell’atmosfera stellare, ancora pieni di idrogeno, non hanno più nulla a cui aggrapparsi e iniziano a espandersi. La stella diventa così una gigante rossa. Nel frattempo il nucleo ha raggiunto una nuova densità critica, dove l’elio inizia a convertirsi in carbonio e ossigeno: gli elementi costitutivi della vita. Finito anche il secondo carburante, il nucleo si contrae di nuovo. Le stelle di massa media come il Sole non hanno però abbastanza materia da comprimere per permettere di innescare una nuova fusione: l’astro muore spegnendosi come una candela sotto forma di nana bianca.
Ma per le stelle più massicce, come Betelgeuse, la storia è diversa: quando l’elio finisce, la stella collassa di nuovo, la temperatura nel nucleo aumenta e il carbonio inizia a fondere creando altri elementi come magnesio, neon, sodio e alluminio. Le reazioni continuano, sin quando il cuore della stella si trasforma in puro ferro. A questo punto non è possibile andare oltre. La stella, privata dell’energia che la tiene in equilibrio, inizia l’ultimo, incontrollato e devastante collasso. Lo fa in un colpo d’occhio, tanto velocemente e tanto violentemente che la contrazione provoca un catastrofico rigurgito e una violenta esplosione che sparge gli atomi che ha creato durante tutta la sua vita nello spazio interstellare…
Meglio non troppo vicino
Le supernove hanno forgiato e messo a disposizione gli elementi di cui siamo costituiti e vederne una esplodere è uno spettacolo indimenticabile. Eppure se dovessero esplodere troppo vicino a noi, l’enorme quantità di radiazioni emesse dal fenomeno sterilizzerebbero tutta la Terra. Una teoria a cui si sono aggrappati molti fautori della fine del mondo nel 2012 (già, tra poco…). Secondo loro Betelgeuse potrebbe causare un cataclisma planetario. La teoria non regge però ai fatti dal momento che quei 650 anni luce che ci separano dal suo centro ci mettono al sicuro. È troppo distante per nuocerci, ma è abbastanza vicina per garantire uno spettacolo mozzafiato. Ecco il perché del mio desiderio. Ecco perché vorrei essere con il naso all’insù quando Betelgeuse esalerà il suo ultimo, cataclismico, respiro.
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